Name Subname
Ingredienti per un perfetto cocktail ignaziano
Sono nato a Vicenza nel 1968.
Del Veneto mi porto appresso la testa dura e l’accento. In qualunque luogo mi trovi la parlata tradisce le mie origini, un po’ come Pietro nel cortile del sommo sacerdote. Essendo un convinto assertore del principio d’inculturazione, mi piacerebbe riuscire a confondermi di più alla gente del luogo ma non c’è verso; fortunatamente inculturarsi non vuole dire rinunciare alle proprie origini ma tentare di comprendere, accettare, valorizzare e integrare la nuova cultura con cui ci si trova a convivere. È uno dei valori che ho imparato dalla mia preziosissima famiglia con la quale ho vissuto una serena e spensierata giovinezza.
All’età di 18 anni il primo incontro con i gesuiti. Il campo estivo a Selva di Val Gardena seguito da tre giorni di Esercizi spirituali ha cambiato tutto: una nuova visione di Dio, della vita, di me stesso. Esteriormente continuavo con l’esistenza molto variegata di sempre (tanto studio, prima serata in parrocchia o in circoscrizione, seconda serata con gli amici, varie esperienze di volontariato, fondamentali esperienze affettive), ma interiormente qualcosa era cambiato, e chi mi conosceva se ne accorgeva.
Quando si è trattato di decidere cosa fare della vita, quell’incontro è risultato troppo importante. Associandolo ad altri segni che il Signore aveva distribuito lungo il cammino, ho sentito che si trattava della chiamata alla vita religiosa. Ma ci sono voluti altri 10 anni prima di entrare in Compagnia: mi sarebbe piaciuto mantenere tutti i benefici che il campo in Val Gardena aveva donato senza accettarne gli oneri. Solo dopo aver ammesso a me stesso che il progetto di Dio era più integrale e completo del mio, in termini boxistici solo dopo aver “gettato la spugna”, il cammino si è semplificato. Evidentemente anche adesso i problemi non mancano, ma qui non si tratta di evitare i problemi bensì di affrontarli con la calma e la forza necessarie.
Prima del noviziato c’erano stati due importanti capitoli formativi della mia vita: gli studi di chimica e il volontariato internazionale. L’affascinante ricerca dell’infinitamente piccolo ha contribuito a svelare l’infinitamente grande, e l’università mi ha dato una certa metodicità che quando serve so tirar fuori. I due anni e mezzo in Brasile sono stati una fantastica palestra di vita: abitavo in una cittadina circondata da un mare di canna da zucchero, e in un centro giovanile circondato da un mare di bambini. Tra le tante esperienze la più marcante, inaspettata e leggermente rischiosa è stata in ambito di riforma agraria: la preparazione e l’accompagnamento di un’occupazione di terra ipotecata e incolta. Al ritorno a Vicenza ho tentato di tornare alla vita “normale”, ma ormai ero cotto a puntino, per cui ho ripreso i contatti con coloro che presto sarebbero diventati i miei confratelli.
I lunghi anni di formazione in Compagnia sono passati in un attimo. Questo paradosso è popolarmente tradotto con frasi del tipo “Il tempo vola”, “Mi sembra ieri”, ed è generalmente considerato un segno che le cose procedono bene. Sono stati anni molto intensi tanto che solo l’elenco delle esperienze fatte e delle persone incontrate esubererebbe lo spazio massimo concesso per questa presentazione.
D’altra parte la mia curiosità e l’enorme possibilità di conoscenze umane e culturali che la formazione del gesuita fornisce hanno prodotto un cocktail di alto gradimento, con l’unico rischio di ubriacarsi, cioè di togliere tempo al riposo.
Appassionante la teologia, e se ci lamentiamo (a volte a ragione) che qualche corso dovrebbe essere riformulato, rimane il fatto che il livello accademico è alto. Tra le varie discipline ho privilegiato la teologia biblica e la cristologia, mentre trovavo pesante lo studio della morale: ma quando per motivi di apostolato mi sono trovato tra l’incudine e il martello di un problema di bioetica, ho reso grazie d’essere fresco di studi di morale della vita fisica. In quel momento ho sentito pure l’importanza della formazione permanente una volta conclusa la formazione di base. I problemi che la gente affronta sono tali che bisognerebbe sapere un po’ di tutto, e siccome questo non è possibile, la nostra grande risorsa è il lavoro in rete, tema su cui i formatori insistono.
Ho avuto la fortuna di tornare in Brasile per concludere gli studi di licenza mentre muovevo i primi passi da presbitero in una delle numerose comunità parrocchiali seguite dai gesuiti nella periferia di Belo Horizonte. Al ritorno in Italia è iniziata la prima esperienza apostolica a lungo termine, A Scampia nell’entroterra napoletano, dove vivo da nove anni con un’interruzione di sei mesi per la Terza probazione nello Sri Lanka.
Nella varietà delle strade che ho intrapreso, un filo rosso rimane: l’interesse per le vecchie e nuove forme di povertà. Mi sono occupato di tossicodipendenze, malati di AIDS, immigrati, Rom, e altri fratelli in difficoltà. Il magistero al Segretariato per la giustizia sociale e l’accompagnamento alla formazione del Jesuit Social Network sono stati fondamentali per riflettere sulle cause che portano queste categorie a soffrire.
Camminando tra i palazzoni anonimi sento che la periferia è il mio ambiente. Per poter fare un lavoro di qualità, i miei confratelli e io tentiamo di tenere assieme tre livelli di intervento: con la gente, soprattutto le persone più deboli; con le associazioni che di loro si occupano; con le istituzioni, le quali sono molto importanti per la soluzione dei problemi ma al contempo si trovano in profonda crisi. Sta a noi cercare di essere aiuto senza mai sostituirci ai servizi sociali, alla scuola o alla famiglia.
Man mano che le esperienze aumentano, aumentano anche le responsabilità. Accetto con un po’ di pesantezza il fatto che non si possono avere le prime senza le seconde, sempre grato al Signore per la vocazione alla vita religiosa.
Recent Comments